L’ultima importante novità nel panorama del Coaching sportivo risale allo scorso settembre. La squadra di pallavolo di Modena si è presentata ad una partita del campionato di serie A con il coach seduto in panchina. Non l’allenatore tecnico della squadra ma il mental coach, l’allenatore mentale che aiuta i giocatori a trovare concentrazione e motivazione. In Italia non era mai successo. Inutile dire che la partita si è conclusa con un 3-0 per la Pallavolo Modena.
I due ruoli sono ormai ben distinti: per eccellere nel mondo estremamente competitivo dello sport attuale il puro allenamento fisico non basta più. “E’ ormai chiaro e opinione diffusa che nel calcio di oggi la differenza principale tra i giocatori sia la forza mentale, visto che c’è grande equilibrio tattico e tecnico”, dichiara, per esempio, un calciatore del campionato di serie B. “Ma come migliorare questa capacità? Gli allenatori ti insegnano la tattica e la tecnica, e poi ti dicono che “devi essere concentrato”, che devi “avere la mentalità vincente”, ma nessuno ti dà gli strumenti per migliorarti.”
Ma che cos’è esattamente lo Sport Coaching? Si tratta di una particolare forma di Mental Coaching nello sport che si prefigge obiettivi di carattere sportivo. Come la gestione dello stress da competizione e delle difficoltà, la trasformazione della paura in coraggio e, in generale, lo sviluppo di un atteggiamento mentale vincente, che permetta di esprimere al massimo le proprie potenzialità sia durante gli allenamenti che durante le gare. In pratica, il Coach identifica i meccanismi mentali che portano alla prestazione di alto livello per installarli nella parte inconscia dell’atleta e poterli riprodurre in qualsiasi momento.
Il coach di un atleta o di una squadra è quindi una figura ben diversa da quella dello psicologo sportivo, come a volte viene indicata. Per dirla con le parole di Dan Peterson, commentatore e allenatore di basket, si tratta di “un’etichetta che già in sé spesso spaventa la gente, che dice: “Io? Psicologo? Non sono mica matto, sai!”. Infatti, c’è una notevole differenza fra psicologo e coach quando si parla di mentalità: il primo cerca di identificare e risolvere problemi, il secondo installa mentalità vincente.
I benefici li hanno già sperimentati in parecchi. Racconta un professionista del golf: “In campo e in gara, ma soprattutto nella mia vita quotidiana, il coach è riuscito a rimettermi in contatto con la risorsa più naturale e potente, ma allo stesso tempo più difficile da risvegliare: me stesso. Mi ha aiutato a scoprire che dentro di me esiste già, nascosto, tutto ciò di cui ho bisogno per affrontare, superare e vincere ogni sfida nella vita e nella mia disciplina.” “Ho aumentato la stima nei miei confronti, ho imparato ad affrontare senza timori e paure certe situazioni che prima mi condizionavano o non mi facevano rendere quanto potevo. I risultati sono stati immediati e in continua evoluzione”, ammette poi un noto giornalista sportivo.
Conclude una golfista professionista: “Il coach mi ha aiutato a riconoscere il vero sogno che si nascondeva dentro di me, mi ha fatto rinascere il desidero di volerlo inseguire con tutte le mie forze, e poi mi ha insegnato il modo per raggiungerlo. Oggi mi sento una persona più vera, che non si nasconde dietro alle paure, ma guarda in faccia il problema per cercarne solamente la soluzione.”
Tra gli sportivi più famosi ad essere ricorsi al Coaching, niente meno che il recordman del golf Greg Norman, l’asso del basket Michael Jordan e il supercampione del tennis André Agassi. In passato si sono rivolti ad Anthony Robbins, il formatore motivazionale numero uno al mondo. Agassi in particolare, grazie al training, passò dal 30° posto al podio nel corso degli Open Usa ’94. A Robbins si sono rivolte anche intere squadre dell’NBA, come i Los Angeles Lakers e i San Antonio Spurs, di hockey, quali i Los Angeles Kings, di baseball, con i Los Angeles Dodgers, e perfino l’America 3, l’equipaggio vincitore dell’America’s Cup ’92, oltre a molti altri atleti olimpionici. Tra i nostrani, l’ex capocannoniere di serie A Giuseppe Signori, che grazie a Robbins ritrovò il goal e la motivazione.
Ma non c’è bisogno di volare oltreoceano per assoldare uno sport coach. In Italia, se ne sono valsi con profitto Igor Protti, Alessandro Del Piero e Isolde Kostner. Protti, dopo un periodo di sfiducia nelle proprie capacità, tornò ad essere il capocannoniere della serie B. Portò il Livorno in A, mentre Del Piero ritrovò la carica dopo il periodo critico della Juve di Ancelotti. Isolde, invece, riprese a macinare traguardi dopo due anni di blocco della fiducia e della determinazione. Bastò che il coach l’aiutasse a liberarsi di resistenze personali, strascichi di un infortunio, per tornare ad essere la pluricampionessa di una volta.
Sempre dal mondo dello sci vengono Kristian Ghedina, Massimiliano Blardone e Daniela Ceccarelli, tutti beneficiari del coaching. Ma anche Loris Reggiani, vice campione del mondo MotoGP classe 125 e 250.
Non solo atleti, comunque. Sessioni di coaching sportivo sono state di supporto anche a Roberto Mancini e Gianni De Biasi per allenare le loro Inter, Brescia e Torino e ad intere squadre come il Livorno e la Reggiana.
Per essere un fenomeno importato in Italia solo di recente, quindi, il coaching ha già riscosso un ampio successo e prodotto grandi risultati. Perché non insegna solo le strategie giuste, che restano comunque fattori esterni, ma insegna a ripartire da se stessi. Come dice un affermato golfista: “Il vero merito di un coach non è quello di saperti insegnare tecniche automotivanti o di farti sperimentare forti emozioni positive durante gli allenamenti. Il vero merito di un bravo coach è farti ritrovare la forza e il coraggio
di riuscire quando sei solo con te stesso, e quando tutto intorno a te sembra ostile, troppo difficile o addirittura impossibile.”
Non solo durante la fase agonistica. Il coach accompagna i campioni perfino dopo il ritiro, quando affrontare la quotidianità dopo una vita passata a gareggiare può creare insicurezze. Così fa quello di Hicham El Guerrouj, uno dei maggiori podisti della storia, vincitore dei 1500 e 5000 metri ad Atene 2004 e primatista dei 1500 e del Miglio, che ha abbandonato le competizioni nel maggio 2006. Il suo “allenatore di vita”, come lui stesso lo chiama, lo affianca nella gestione degli interventi in pubblico e di determinati rapporti sociali. Ma anche delle normali relazioni familiari, insegnandogli “a interagire, a stare al mondo”. E a confrontarsi, finalmente, con la vita reale.